uomo, chi sei?

Cantava Giorgio Gaber: "Se alle donne non facessero più effetto i finti amori dei corteggiatori, allora ci sarebbero gli uomini e un mondo di donne talmente belle da non aver bisogno di affezionarsi alla menzogna del nostro sogno"  

 

Nella cultura-società-epoca in cui sono vissuto ho cercato di farmi una idea di quello che possa essere il mio posto e senso nel mondo e avrei l'aspirazione di trovare il mio posto nel mondo come UOMO. Questa parola racchiude, o dovrebbe racchiudere tutta una serie di significati e corrispondenze a cui riferirsi e, in un continuo esercizio di virtù, creare quel dialogo interiore che porta a una dinamica conoscenza di noi stessi... ma... non è così. Mi sono trovato poi a constatare che le due categorie di persone che hanno fatto ricerca e messo in discussione il proprio ruolo sono quelle che storicamente ne sono state costrette dalla mancanza di diritti sociali ugualitari e consolidati. Le donne e gli omosessuali, non gli uomini. La mia generazione è cresciuta da padri che hanno pensato solo a lavorare, completamente anestetizzati emotivamente e privi di capacità comunicativa. Noi quindi siamo stati privati di un riferimento maschile che ci aprisse alla comunicazione uomo-uomo, e che ponesse un limite maschile alla emotività delle nostre madri. Io credo che il vero tabù di oggi sia quello di mettere in discussione la figura maschile: cosa vuol dire essere uomo? 
Stefano Tintori


Liberi dalla generazione, gli uomini hanno sempre giocato prima con gli animali nelle imprese di caccia, poi con le guerre per l'esercizio della potenza, quindi con gli dèi inventando miti e narrazioni, di seguito con le idee producendo storia e cultura, infine col denaro per conquistare agi e privilegi. E tutto questo tra loro, per cui verrebbe da pensare che l'omosessualità, prima di essere il tratto specifico di alcuni uomini, è la struttura di base delle relazioni maschili. E questo perché? Perché i maschi hanno una paura terribile ad aprirsi alla loro parte femminile, di cui pure sono forniti, come da tempo ci informa la psicologia e oggi anche la biologia. I maschi, infatti, interpretano la loro parte femminile come debolezza, come scarsa virilità e allora si producono in quelle maschere artefatte di forza, di potenza, di carattere, a cui le donne si adeguano accentuando gli aspetti seduttivi della loro femminilità, diventando a loro volta artifici di bellezza secondo i dettami della moda. Ma che cos'è davvero la femminilità che gli uomini misconoscono come parte della loro costituzione e che le donne hanno smesso di interpretare per avvolgersi nel loro scadente narcisismo? Avendo la natura assegnato alle donne il compito della generazione e, nei primi anni, della crescita dei figli, io penso che la dimensione femminile consista essenzialmente nella "relazione", senza la quale le donne non potrebbero svolgere il compito che la natura ha loro assegnato. Ciò significa che mentre il maschio è solitamente una "identità" che instaura relazioni, per lo più in ambito maschile dove continua a giocare alla guerra nella forma della competizione, o al sesso nella forma dell'occasionale seduzione, la donna è tendenzialmente "relazione" da cui ricava il suo riconoscimento e quindi la sua identità. Il due (qui inteso come l'uno e l'altro, quindi la relazione) è il costitutivo del femminile. Ciò che consente alla donna di prendersi cura dei figli secondo modalità sconosciute al maschio e di sedurre gli uomini con forme di fascinazione sorprendenti, se appena gli uomini fossero in grado di sollevare il proprio sguardo oltre la dimensione sessuale a cui si limitano a causa della loro povertà psichica.

Se gli uomini si aprissero alla loro parte femminile imparerebbero che cos'è una relazione, senza per questo dimettere la loro identità, e in questo modo consentirebbero anche alle donne di riscattarsi dal regime di sottomissione o comunque di dipendenza, se non sempre economica, quasi sempre psicologica, che ancora oggi le connota nei confronti della figura maschile. Il riscatto della donna infatti non avviene tanto con i processi di emancipazione sociale, economica, giuridica, peraltro necessari, auspicabili e utili. Non con una rivendicazione di uguaglianza che da noi significa imitazione dello stile di vita maschile, con progressiva negazione della specificità femminile fatta salva la seduzione sessuale, ma con una maturazione antropologica che si verificherà quando, esausti dell'affermazione della loro identità e dagli sforzi richiesti per confermarla, gli uomini incominceranno ad accorgersi che la gioia, la felicità nascono dalla relazione, di cui la donna è per natura la gelosa custode o la misconosciuta interprete
Se non si arriva a catturare questo segreto e quindi a scoprire che cos'è davvero il femminile, non nascerà mai una vera identità maschile, ma solo quelle maschere stereotipate di uomini e donne, che neppure le parole o i gesti più originali riescono a riscattare dalla noia abissale della loro prevedibilità. Non c'è infatti gioia nell'io e nella sua esasperata autoaffermazione, ma solo nella "relazione", che è il linguaggio tipico della donna, di cui l'uomo, fatta eccezione per rari casi, deve ancora imparare l'alfabeto.