Cultura Cyborg & cyberfemminismo

 

Viviamo in una fase di passaggio, scenari di mutazione non ancora ben definiti sono in atto, ovunque si avverte ormai la necessita' e necessarieta' di una radicale riscrittura dei codici bio-culturali del mondo occidentale.

Nuovi soggetti si affacciano sul baratro incolmabile lasciato dal Soggetto: quello stesso che nel nome di un garante universale, Dio o la Ragione immanente, aveva legittimato il cammino tecnologico. Un soggetto guarda caso maschile, che sul paradigma scientifico e sulla sua scissione dualica mente/corpo, uomo/natura, uomo/donna, aveva posto i fondamenti di un dominio assoluto negante qualsiasi alterita'.

Proprio l'evolversi del sistema tecno-comunicativo nelle complesse declinazioni mediatiche, elettroniche e virtuali, ha favorito pero' ad un certo punto l'entrata in scena di identita' moltiplicate (geografiche, etniche, anagrafiche, sessuali...), che legittimamente reclamano un ruolo da protagoniste in questo nuovo capitolo della Storia di cui stiamo vivendo solo il prologo: le donne in prima linea, naturalmente.

Il dibattito in corso riguarda dunque la possibilita' di ripensare questo mondo anche a partire dalla soggettivita' femminile.
Ma se la tecnologia non e' neutra, come non e' neutro alcuno sguardo sull'esistente, che atteggiamento assumere nei suoi confronti? Non basta accennare, come fa De Kerckhove sulla scia di Mc Luhan, alle qualita' femminili della televisione, domestico 'ventre materno elettronico', venuto a minacciare la schematicita' del brainframe alfabetico. Ne' sottolineare la dimensione 'tattile' e corporale della RV, che compensa il rigurgito di connotazioni maschili dei computers.
Occorre piuttosto prendere atto che questa dimensione ci appartiene ormai come una seconda pelle, e che a partire dalla sua implosione e' forse possibile disegnarne prospettive diverse, contribuendo creativamente dal di dentro all'invenzione di nuovi universi di significazione, di altri ordini simbolici in cui la tecnologia non sia strumento di potere ma soddisfacimento di bisogni.

E' questa l'ultima frontiera del cyber femminismo, teorizzato dalla studiosa americana Donna Haraway, che prende addirittura l'immagine del cyborg ad emblema di un definitivo superamento della dicotomia maschile/femminile, oltre che di ogni identita' minoritaria alternativa alla razionalita' classica. Il connubio uomo-macchina serve in tal modo a smascherare la presunta naturalita' della natura umana e di conseguenza anche a superare un pensiero della 'differenza' (Luce Iragay), troppo ancorato ai condizionamenti del biologico.
Un terzo genere, piu' aperto e democratico, si candida cosi' a far da terreno di incontro tra i sessi tradizionali. Memore forse delle antiche suggestioni mitiche narrate nel Simposio di Platone, sull'umanita' originaria divisa nelle tre unita' sferiche e armoniche dell'uomo/uomo, donna/donna, uomo/donna, separati traumaticamente da Zeus per paura della loro forza? Il gioco delle associazioni puo' estendersi al presente, al trionfo dell'androgino e dell'ambiguo nella nostra cultura mediale, da David Bowie a Madonna, da 'La donna del soldato' ad 'Addio mia concubina' a 'M.me Butterfly' di Cronemberg. Nell'anonima comunita' virtuale, senza eta', sesso e corporeita', del cyberspazio, ne sono ulteriori segnali la rivendicazione di forme 'trans' di superamento degli stereotipi sessuali o di pratiche erotiche estreme in chiave antagonista ('inversione dei ruoli' inclusa).

Al centro, provocazioni a parte, c'e' l'emergenza reale di una dissoluzione antigerarchica delle rigide fisionomie prestabilite e della possibilita' positiva di reinventarne altre. é questa la grande sfida che si presenta in generale all'arte, nell'accezione di pensiero mobile teso a spingersi oltre ogni certezza, in un altrove trasversale di contaminazioni aperte alla differenza. Ma e' una sfida di cui proprio le donne, in virtu' della loro stessa storia, possono e devono approfittare, quale invito a riscrivere se stesse, anche a partire dal proprio corpo: come e' prefigurato nel lavoro inquietante della performer francese Orlan.

Gran parte delle proposte piu' radicali e interessanti delle artiste donne (o donne artiste?) degli ultimi anni ha a che fare del resto con questo clima di sensibilita', percorso anche dalle promesse ambivalenti della fecondazione artificiale e dell'ingegneria genetica. In questa fase, prioritaria sembra soprattutto una sorta di 'autocoscienza eversiva', che faccia i conti senza belletti con tabu' e stereotipi della sessualita' (pornografia ed escrementi compresi), con il corpo medializzato, ma anche con i cliche' e le ossessioni femminili: si pensi a Cindy Sherman, Nan Goldin, Kiky Smith, Janine Antony, Sylvie Fleury, Rona Pondick, Sue Williams, Elke Krystufek, Janet Biggs, Christine Lidrbauch Bettina Rheims, Pipilotti Rist, Marion Barouk, Liliana Moro, Eva Marisaldi, Laura Ruggeri... Tante 'cattive ragazze' cui fanno da contraltare le provocatorie azioni di disturbo nel sistema artistico statunitense delle mascherate e incazzate Guerrilla Girls ,tra cui si sospetta che ci sia addirittura Susan Sontag. Esempi eccessivi, i cui rimandi piu' hard provengono soprattutto dalla scena musicale underground (le Riot Girls, Miss DJAX UP, Diamanda Gala's) e letteraria (Kathy Acker, Pat Cadigan).

Paradossalmente hanno un risvolto piu' leggero, ironico e autoironico invece, le proposte di utilizzo estetico degli strumenti tecnologici, che ribaltano una certa tradizionale diffidenza femminile. Lo dimostrano la fascinazione per la realta' virtuale di Jenny Holzer o il lavoro sulle implicazioni relazionali dell'interattivita' di Monika Fleishmann, Agnes Hedegus, Christa Sommerer, Sabine Reiff e Flavia Alman.
Sintomo di un interesse sempre piu' diffuso sul piano internazionale sono anche le sperimentazioni elettroniche di Linda Dement e Isabelle Delmotte e il moltiplicarsi di esperienze espositive su questi temi. Per ragioni culturali e non, piuttosto poche sono invece le testimonianze di questo tipo in Italia, come emerge anche dalla selezione in mostra.
Eppure la sensazione e' che sulla liberta' di sperimentare nuove modalita' nell'universo comunicativo si giochi la partita delle donne, delle artiste e, probabilmente, anche dell'arte. Ma forse le tracce di questo cambiamento vanno cercate soprattutto altrove, fuori dalle chiusure individuali e dai luoghi deputati degli steccati disciplinari: in un' altra area di mutazione trans, tra arti visive, letteratura, musica, scienza, spettacolo, massmedia... ancora da definire.

A Laurie Anderson, creatura elettiva di quest'universo, il diritto allora di una chiusa: "la tecnologia e' come un fuoco intorno al quale ci si raccoglie e si raccontano le proprie storie".

Antonella Marino