Anna Foa

Ebraismo, un viaggio alle origini dell'Europa

Non molti lo sanno, ma l’espressione "melting-pot", che designa la mescolanza americana di etnie e culture, non è nata negli Usa, bensì in Europa. Coniata ai primi del ‘900 da uno scrittore ebreo inglese: Israel Zangwill. Più "prevedibile" invece un altro dettaglio, non scevro di importanza: la genesi del termine "antisemitismo". Qui siamo in piena Germania guglieimina, nel 1879, al culmine della potenza bismarckiana. Fu il giornalista Wilhelm Marr a coniare l’idea. Che come "slogan-valanga" divenne una bandiera santificata di "scienza" (pseudo-darwiniana e pseudo linguistica). Semiti dapprima erano infatti i popoli considerati di "razza" inferiore: arabi, nordafricani e mediorientali. Contrapposti agli evoluti "indoeuropei". Secondo quanto dall’inizio dell’Ottocento andavano teorizzando i glottologi germanici, in caccia di una mitologica origine "pura" delle genti occidentali. Da Marr in poi, "semiti" divengono solo gli ebrei, inchiodati per sempre a una sorta di particolarità, inquinata e indigeribile, esorcizzata con quell’"anti".

Quelle che abbiamo citato sono alcune delle cose che si trovano in un libro che ci auguriamo possa diventare un breviario storiografico di successo, in prossimità del Giorno della Memoria: Diaspora. Storia degli ebrei nel Novecento (Laterza, pp. 284, euro 19). Lo ha scritto Anna Foa, storica all’Università di Roma, studiosa di "mentalità" e storia degli ebrei, ma anche di eretici, ateismo e magia, di Giordano Bruno e della "Peste nera". Figlia di due genitori straordinari, Vittorio Foa e Lisa Foa, entrambi ebrei laici e di sinistra, che - come Anna - hanno sempre guardato all’ebraismo con equilibrio e passione civile, mai stavolta da eccessi di appartenenza. E i dettagli di cui sopra li abbiamo estratti da questa opera ben altrimenti imponente, perché oltre a racchiudere la sua problematica più intima, vanno al cuore del problema stesso. Al cuore della "Questione ebraica", si sarebbe detto in altri tempi. Ma in che senso? Nel senso di una polarità acuta a riguardo, e non del tutto superata. Da un lato cioè, l’ebraismo come lievito cosmopolita della nostra intera civiltà. Al punto da inventare letteralmente (semanticamente) il meltingpot. Dall’altro, il suo contrario: l’inassimibilità della particolarità ebraica. La sua "alterità" feconda e controversa anche al suo interno e oggetto di persecuzioni "inesplicabili". Al seguo di essere forzata a cercare di diventare altro da ciò che nei secoli era stata. Altro da una disseminazione inquieta (Diaspora). E a divenire "stato-nazione".

Ecco, se si volesse riassumere in breve questo libro di Anna Foa, lo si potrebbe fare così: la storia degli ebrei in Occidente, in bilico tra Diaspora e suo contrario. E se è impossibile squadernare tutta l’opera, una cosa però la si può dire: ci sono dentro tutte le questioni chiave. Senza diplomatismi o elusioni di comodo (su Israele ad esempio). C’è intanto nel volume una verità di fondo: senza ebraismo non vi sarebbe civiltà europea. Non vi sarebbero modernità, cosmopolitismo, critica delle ideologie, secolarizzazione, ermeneutica, avanguardie, psicoanalisi e visione scientifica della "relatività". Né ripensamento di "Atene e Gerusalemme". Non vi sarebbe stato come è ovvio il Cristanesimo. Che dell’ebraismo, suo fratello maggiore, è un ramo eretico (altresì responsabile di tanti pregiudizi "antigiudaici" che condussero alla Shoà). In una parola, non vi sarebbe Europa. Dunque, quello di Anna Foa, è un invito a considerare tutto questo. Nonché alla gratitudine verso la civiltà ebraica che è, indissolubilmente, anche la nostra. Contributo ancor più prezioso oggi. Allorché l’insolubiità del conflitto israelo-palestinese - nel contrappone due ragioni irrinunciabili - rischia di rilanciare il fantasma tossico dell’antisemitismo. Il maleficio a cui le genti d’Europa, anche italiche, si consegnarono mani e piedi nel ‘900, distruggendo la loro stessa identità. Nell’illusione di poterla preservare "pura". All’insegna della guerra di massa, dello sterminio e della Politica di Potenza.  Bruno Gravagnolo - Unità 19 gennaio 2009

 

Nel corso del Novecento il mondo ebraico muta radicalmente. C'è la Shoah, certo, ma non solo. Ci sono anche Freud che reinterpreta la mente umana, Einstein che scopre nuove leggi dell'universo, Schönberg che scompone la musica, Trockij che firma la rivoluzione, e poi scrittori, artisti e poeti ebrei che segnano indelebilmente la cultura del Novecento. A partire dalla fine dell'Ottocento gli ebrei esprimono una forza simbolica del tutto inedita, vitalissima, che non è alimentata solo dallo sterminio o dalla persecuzione ma dall'essere stati capaci di straordinaria creatività e insieme del più radicale degli annullamenti. E, ancora, dall'essere stati un intreccio tra la volontà di farsi uguali agli altri, integrarsi totalmente, e una durevole percezione di sé come di un'identità sul confine. Accanto a questo potente processo di crescita, si rinnova però anche l'antisemitismo, prende radici salde nelle società di massa, contagia con il razzismo biologico la politica, la cultura e la stessa religione. Con l'avvento di Hitler, la svolta è radicale, e gli ebrei affrontano persecuzioni ed esilio.

 

Posted on January 24th, 2008 by Metamorphosis Design