Myanmar - birmania
1a puntatan
una nuova serie delle Letture di Uomini e Profeti, guidati
dalla studiosa Marilia
Albanese, ricostruiamo la storia della Birmania, dalle sue
origini fino all'avvento della dittatura militare, ancora al potere
in quel paese: la diffusione del Buddhismo, il legame tra religione
e potere, la cultura, la vita quotidiana.
Foto di Paola Sacconi
Libri:
G. Orwell, Giorni in Birmania, Mondadori, 2006
G. Ferraro e G. Buscaglino, Fiabe birmane, Franco Muzzio
Amitav Gosh, Il palazzo degli specchi, Einaudi 2001
Aung San Suu Kyi, Libera dalla paura, Sperling Paperbacks
Andrew Marshall, Birmania Football Club: Da colonnia britannica a
dittatura militare, Instar Libri, 2004
Uomini e Profeti Domande 'Birmania:
grida dal silenzio', trasmessa il 17 novembre 2007
Uomini e Profeti Domande 'Birmania:
anno zero?' , trasmessa il 29 settembre 2007
C'era un re grandemente saggio, signore degli uomini, che amava
udire la predicazione della santa dottrina. Il suo nome era Tibùvana-dìccia-pàvara-dàmma-ràgia.
Questo giusto e pio protettore della terra rammentò:
"Raramente, raramente i Buddha nascono su questa terra e per
chi nasce come essere umano è difficile, difficile portare avanti
la dottrina del Buddha". Allora, il re che era davvero saggio e
dotato della migliore intelligenza, ordinò: "Sia costruita una
bella e piacevole stanza, una camera fragrante per ospitare il
potente Veggente, per Gòtama Buddha. La si innalzi su un'alta
piattaforma e la si adorni con piccoli cètiya e immagini degli
spiriti". Questo grande re, ricettacolo di ogni virtù, ordinò
che fosse fatta un'immagine gloriosamente splendida e bella, il più
possibile simile al nobile Buddha quando era in vita, un'immagine
del Signore del mondo, il Maestro, i cui cinque occhi erano senza
macchia, talmente puro e saggio egli era.
(Iscrizione per la costruzione del tempio Schvègugi)
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2a puntata
Con la studiosa del mondo orientale Marilia Albanese continuiamo a ripercorrere la storia religiosa della Birmania: il ruolo del Buddhismo nella vita quotidiana e negli eventi politici, i primi contatti con gli europei, la dominazione inglese, l'ascesa di un feroce nazionalismo, la dittatura militare e le persecuzioni dei monaci buddisti.
Foto di Paolo Cavallo
Libri:
J. George Scott, The Burman, his life and notions
Sayadaw U Jotika, A map of the Journey
George Orwell, Giorni in Birmania, Mondadori, 2006
Margaret Landon, Anna and the King of Siam
G. Ferraro e G. Buscaglino, Fiabe birmane, Franco Muzzio
Amitav Gosh, Il palazzo degli specchi, Einaudi, 2001
A. Marshall, Birmania Football Club: Da colonnia britannica a
dittatura militare, Instar Libri, 2004
Ai piedi della collina di Ciauksè nei pressi di Mandalay ci sono
due grossi massi, ma non si tratta di pietre qualsiasi. In esse
infatti dimorano due potenti Nat, chiamati il Fratello e la Sorella.
La loro storia rimonta ai tempi del regno di Pagan, quando il grande
re Anàvrata aveva intrapreso colossali opere di irrigazione nella
zona e, per renderle più sicure e durature, aveva ordinato di
seppellire vivo sotto ogni chiusa un essere umano. Era diffusa la
credenza, infatti, che tale sacrificio garantisse alle costruzioni
più importanti la protezione degli spiriti della terra, delle acque
e del cielo. Una delle regine di Anàvrata, sorella del capo degli
Shan Myogi, mossa da compassione e desiderosa di salvare altre vite,
si propose come vittima, affermando che il suo rango faceva sì che
ella bastasse per tutte le chiuse. Il suo sacrificio venne accettato
e da quel momento diventò la divinità tutelare del sistema irriguo
di Ciauksè. Suo fratello, che si considerava alla pari di Anàvrata,
fu tuttavia costretto dal re di Pagan a rendergli omaggio e
sottomissione e, piuttosto che coinvolgere la sua gente in una
dolorosa guerra, il capo degli Shan decise di sottoporsi
all'umiliazione. Ma giunto ai confini del regno di Pagan, travolto
dalla vergogna, Myogi si gettò nel fiume Zougì e annegò. Per il
suo coraggio e la sua fierezza anch'egli divenne un Nat e, insieme
alla sorella, è tuttora oggetto di devozione da parte degli
abitanti di Mandalay e del nord del Paese.
ascolta
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3a puntata
Dall'indipendenza
dall'Inghilterra sancita nel 1948 fino il colpo di stato del 1962 e
l'avvento del regime militare, quali sono le grandi linee di
tensione che in Birmania portano alla situazione attuale? La figura
di Aung San Suu Kyi, premio Nobel nel 1991: quali elementi della
tradizione birmana, e eventualmente europea, convergono in lei fino
a farla diventare un simbolo della resistenza di un popolo? Ne
parliamo in conclusione di questo itinerario in tre puntate, con la
studiosa del mondo orientale Marilia
Albanese e Stefanio Caldirola, professore di Storia
contemporanea dell'Asia
presso l'Università di Bergamo
Foto di Paolo Cavallo
Libri:
Andrew Marshall, Birmania Football Club: Da colonnia britannica a
dittatura militare, Instar Libri, 2004
Sayadaw U Jotiha, Map of the journey
Aung San Suu Kyi, Libera dalla paura, Sperling Paperback
Aung San Suu Kyi, La mia Birmania, Corbaccio
Journal-Gyaw Ma Ma Lay, La sposa birmana, O barra O edizioni
Segnalazioni:
Euro-Burma Office,
un`organizzazione sponsorizzata dalla Commissione Europea con
l`intento di promuovere democrazia e diritti umani in Birmania.
La causa principale del movimento per la democrazia in Birmania,
innescato dalle dimostrazioni studentesche del 1988 è stata
individuata nello scontento della popolazione per le ristrettezze
economiche. E' vero che anni di politica incoerente, misure
amministrative inefficaci, inflazione galoppante e caduta dei
redditi avevano condotto il paese alla rovina economica. Ma qualcosa
di più che le difficoltà di costruirsi un tenore di vita appena
accettabile aveva eroso la pazienza di un popolo tradizionalmente di
buon carattere e acquiescente. L'umiliazione per un modo di vivere
condizionato dalla corruzione e dalla paura. Gli studenti
protestavano non solo per la morte di alcuni compagni ma contro la
negazione del loro diritto alla vita da parte di un regime
totalitario che non concedeva significato al presente e privava di
speranze il futuro. E siccome la protesta studentesca esprimeva le
frustrazioni di tutta la popolazione, le dimostrazioni si
tramutarono rapidamente in un movimento a livello nazionale (...) I
Birmani si erano stancati di un precario stato di passiva
apprensione, in cui sentivano come "acqua in mani raccolte a
coppa" del potere.
"Potremmo essere freddi e limpidi
Come acqua in mani raccolte a coppa
Oh, ma se potessimo essere
come schegge di vetro
in mani raccolte a coppa"
Le schegge di vetro, le più piccole con la forza tagliente e
luciccante di difendersi contro le mani che cercano di frantumarle,
possono essere indispensabile per chi vuole liberarsi dalla morsa
dell'oppressione.
(da Aung San Suu Kyi, Libera dalla paura)
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da: Paolo Cavallo
Vi
ringrazio sinceramente per l'onore accordato alle foto che vi ho
mandato. Non è per sollecitare niente di simile che vi mando queste
altre, ma soltanto perché la prima volta vi ho mostrato immagini di
luoghi, mentre ora vorrei trasmettervi alcune emozioni legate alle
persone.
Il motivo per cui vi scrivo ancora, però, non è questo. All'inizio
della trasmissione di domenica 8 marzo avete evocato la questione
del turismo: da molte parti, anche estremamente autorevoli, si è
detto e si dice ancora che i turisti che si recano nel Myanmar
legittimano il regime e portano denaro alla giunta militare. Noi
stessi abbiamo riflettuto a lungo sull'argomento e, almeno la prima
volta, siamo partiti con alcune esitazioni. Proprio per questo sento
il bisogno di testimoniare della nostra esperienza.
In queste occasioni è molto importante distinguere fra il turismo
di massa, affidato ad agenzie internazionali e locali delle quali
spesso non si sa nulla, e il turismo indipendente di singoli che
organizzano il proprio viaggio consultando fonti responsabili e
controllabili. Noi ci siamo comportati in questo modo. Non abbiamo
prenotano in alberghi di proprietà del governo, non abbiamo usato
la compagnia aerea statale. Per muoverci non avevamo un autobus con
aria condizionata e una guida che ci spiegava ogni cosa nella nostra
lingua, ma salivamo su calessi, risciò, battelli, parlando con la
gente che li conduceva, arrivando a guadagnare la loro confidenza.
Alcuni di loro, ritrovati dopo due anni, raggiunti con messaggi
tramite amici e altri viaggiatori, ci sentiamo di chiamarli nostri
amici e speriamo che loro facciano altrettanto.
Tutte le persone con cui abbiamo parlato (persone povere, che vivono
spesso alla giornata, che sorridono ma sono anche piene di affanno e
di rabbia, anche se questo non offusca la loro ospitalità) ci hanno
ripetuto sempre che desiderano con tutto il cuore che i turisti
tornino in Myanmar. Non è soltanto una questione di sopravvivenza.
È ancora di più il desiderio di parlare con persone di altri paesi
e di ricevere una boccata d'aria di libertà.
Non si può andare nel Myanmar con gli occhi bendati e
irresponsabilmente. Ma restare qui, non accettare l'avventura
dell'ospitalità e della conoscenza reciproca, non aiuta e non può
aiutare il popolo birmano. Noi crediamo che sia giusto viaggiare da
turisti nel Myanmar, purché lo si faccia - non è difficile, se ci
riusciamo noi, due insegnanti di una certa età che non hanno nulla
di Indiana Jones - a contatto con il paese reale, mostrando fiducia
per un popolo che la merita profondamente.
Grazie ancora di cuore per l'attenzione.
Paolo Cavallo
da: Angela Picolli
Gentile signora Caramore,
ho ascoltato con grande interesse la puntata dedicata alla Birmania,
paese dal quale sono appena tornata dopo un soggiorno di 15 giorni.
Il messaggio che ho avuto da tutti quei birmani, giovani
soprattutto, con i quali ho parlato è stato "per piacere non
abbandonateci, venite nel nostro paese" Il turismo dopo i fatti
dello scorso anno ha avuto una caduta drammatica. L'isolamento del
paese è aumentato, e le conseguenze di carattere economico sulla
popolazione sono state pesanti. Il messaggio della professoressa
Albanese contrasta con quanto le sto dicendo e dire di essere
dubbiosi è come dire "Non andate". Certo la signora
conosce a fondo la situazione, ma magari le può far piacere
valutare la valdità di quanto ho appena scritto, tenendone conto
nei prossimi interventi.
Ringrazio entrambe dell'attenzione e buon lavoro!
Angela Picolli
da: Chiara Barbarossa
Cara Gabriella,
che bella puntata questa sulla Birmania e che brava la sua ospite.
Mi ha riportato a un viaggio di 5 anni fa. Ero partita il giorno
dello tsunami(senza saperlo, le notizie in Italia non erano ancora
giunte) e appena arrivata mi sono rotta malamente un piede e sono
stata ingessata a Rangoon. Ciononostante ho deciso di continuare il
viaggio. Ho visto Pagan su un carretto trainato da un bufalo, sul
Lago Inle, su quelle piccole piroghe, temevo di capovolgermi e di
andare a fondo, visto il peso dell'ingessatura. Sono stata portata
in braccio, trasportata su carretti, oppure mi sono mossa con la
sedia a rotelle, massacrante, ma ne è valsa la pena. E'una terra
meravigliosa, con gente gentile e sorridente, anche se vivono in una
situazione di costante paura, pure fra di loro, la nostra guida
parlava sottovoce quando gli chiedevamo qualcosa sulla situazione
politica, perché non era sicura di potersi fidare dell' autista.
Ma non è di questo che volevo parlarle, ma di una mia piccola esperienza. L'amore per L'Oriente, o meglio per quei luoghi dove si sente ancora una forte spiritualità, mi ha portata in Laos sei anni fa e ne sono stata affascinata. L'anno dopo ho deciso di ritornare per vedere se potevo fare qualcosa per aiutare i bambini. Con un funzionario del dipartimento dell'educazione ho visitato molte scuole del distretto di Luang Prabang e ho visto le condizioni miserevoli in cui vivevano, costretti a risiedere nell'area scolastica perché il villaggio dove abitano spesso è a un giorno di cammino dal distretto scolastico. Le capanne,poco più grandi un pollaio, di bambù col tetto di paglia, sono sulla terra battuta, una stuoia poggiata su un asse è il letto, su un filo steso all'interno sono appesi i vestiti e in un buco per terra mettono una pentola dove cuociono il riso con un po' di verdura e questo è tutto. Niente acqua potabile, né servizi igienici, per due o trecento bambini, basta il fiume, che è sempre vicino. Vista la situazione ho deciso che dovevo fare qualcosa.
L'anno dopo, non avevo molto, ma siccome mi avevano detto che l'abbandono scolastico molto alto è dovuto al fatto che quando la famiglia non riesce più a garantire il fabbisogno di riso i bambini abbandonano la scuola, ne ho distribuito diversi quintali che hanno permesso a 50 bambini di terminare l'anno scolastico. L'anno seguente ho fatto 2 tetti per 2 due dormitori e ho sempre continuato a distribuire personalmete quintali di riso. Poi è stata la volta dei servizi igienici, chiamiamoli così, sono alla turca, ma meglio di niente... Ne ho costruiti 4 in un college e l'anno dopo 4 in un'altro. Quest'anno nascerà un villaggio (che chiameranno Chiara Village). Dire villaggio è troppo, sono in realtà 10 capanne che ospiteranno ciascuna dai 2 ai 4 allievi. E spero anche di riuscire a costruire una pompa che porti l'acqua dal fiume, in modo che possano lavarsi almeno le mani e lavare i piatti senza dover sempre andare con secchi pesanti a prenderla al fiume. E visto che sia l'anno scorso che quest' anno mi erano rimasti 200/300 dollari, abbiamo comprato la carne per i 460 ragazzi di un orfanotrofio, ai quali già l'anno scorso avevamo fatto una donazione. Ormai verso natale amici e parenti lo sanno, niente regali ma aiuti per il Laos e così ogni fine anno riparto. E' un piccolo mondo incantato il Laos, dove l'insegnamento religioso (i laotiani seguono il buddismo theravada) che era stata bandito anche dalle scuole ha dovuto essere riammesso, anche se i testi canonici hanno subito una "revisione" da parte del partito.
E così i monaci tutte le mattine alle 5 escono
dalle pagode e ricevono le offerte dalle donne che li aspettano in
ginocchio sui marciapiedi con riso frutta e verdure, coltivate nei
piccoli orticelli sul Mekong. Sono centinaia, scalzi e silenziosi,
escono a poco a poco dalla nebbia con le loro tonache arancioni e il
sorriso sul volto. Luang Prabang è patrimonio dell'Unesco ed è un
gioiello, disseminata di pagode dai tetti e dalle porte dorate.
Speriamo solo che il turismo, sia pure finora discreto, non la
rovini. La vita scorre con ritmi tranquilli, e alle dieci si va
tutti a dormire. Il mercato di notte, il più bello di tutta l'Indocina,
alle nove viene smontato, e ogni giorno rimontato nell'unica strada
principale alle 5 del pomeriggio. E il giorno dopo tutto ricomincia.
Avrei mille altre cose da raccontarle, ma non voglio dilungarmi
troppo. Non so se quanto le ho raccontato può interessarle. Ma se
dovesse parlare del Laos, può raccontare, se crede, la mia
esperienza.
Un saluto affettuoso, lei ormai per me è una amica, e come sempre
tutta la mia ammirazione
Chiara Barbarossa