altri artisti e artiste russe
Cecilia Colombo - Gli altri artisti e artiste in Russia, 1900-1920
La scoperta delle radici popolari
Tutta l’arte europea da Gauguin    
in poi è caratterizzata dal primitivismo. Gli artisti russi, tuttavia, anziché    
cercare l’ispirazione in paradisi lontani, in scenari orientali, nelle stampe    
giapponesi, nelle maschere negre, si rivolgono spontaneamente al recupero della    
tradizione popolare del loro paese. La cultura materiale contadina non era    
generalmente reputata degna di considerazione estetica, ma nel tardo ‘800 il    
processo di modernizzazione si accompagna all’analisi della cultura nazionale    
nelle sue componenti. Tale risvegliato interesse per l’etnografia e la storia    
delle diverse genti di Russia genera una serie di spedizioni scientifiche nei    
loro territori, come quella a cui partecipa Kandinsky nel 1889. Nelle principali    
città le amministrazioni locali favoriscono l’apertura di musei dell’artigianato    
e di arte popolare e vengono promosse mostre specializzate, come quella del    
giocattolo tenutasi a San Pietroburgo nel 1890.
In questa passione    
primitivista,    
artisti come  Michail Larionov,  Kazimir Malevich, Kandinsky e molti altri    
collezionano non solo le testimonianze del folclore - oggetti casalinghi,    
giocattoli in legno, tessuti ricamati, lubok, insegne commerciali – ma anche    
reperti archeologici e icone sacre. Così, intorno al 1910, artisti anche molto    
diversi tra loro sono accomunati dal ritorno alle forme semplici e alla    
primordialità e dalla volontà di purificare l’arte dalle sue componenti    
letterarie.
Dopo alcune prime    
"scandalose" opere primitiviste esposte da  Natalja Goncharova nel    
1909, partono le esperienze dei gruppi Fante di quadri, che esordisce nel    
1910 e Coda d’asino, dell’anno successivo, che ha un accento più    
"moderno" e progressista. I pittori che li frequentano guardano sia    
alla tradizione contadina, riprendendone gli oggetti nelle nature morte o nei    
ritratti, sia alla pittura francese dei fauves e di Cézanne, che soprattutto a    
Mosca e a San Pietroburgo è assai documentata da mostre e collezioni private.     
La Goncharova, ad esempio, usa tratti approssimativi e colori violenti ne Il    
pavone; Ilia Maschov riprende la pittura fauves nel Ritratto di E.    
Kirkaldi; Malevich, in Testa di contadina,  trae da un’immagine    
popolare l’ispirazione per un esercizio di  scomposizione di tipo cubista. I    
primitivisti rivalutano anche il folclore urbano e la vita provinciale, in    
particolare gli aspetti "minori" e più ordinari - mestieri, circhi,    
giochi di carte, come nei   Danzatori  di Larionov - e il paesaggio.
 
Nel 1913 il pittore Aleksandr Scevcenko divulga il manifesto Neoprimitivismo: teoria, potenzialità, risultati. Non bisogna dimenticare, inoltre, che Larionov e Goncharova lavorano continuativamente, a partire dal 1914, alle scenografie del balletto russo di Sergej Djaghilev, che si propone di far conoscere in Occidente il folclore e la musica del suo paese. Trasferitisi a Parigi nel 1915, essi continueranno a ispirarsi alle forme essenziali e ingenue del mondo popolare anche dopo la stagione delle avanguardie.
L’avanguardia
Analogamente a quanto avviene nel  
resto d’Europa, la riscoperta del primitivismo prelude in Russia alla nascita  
di un’arte d’avanguardia, che tenta la rottura dei codici artistici  
tradizionali e si distingue per l’attivismo teorico e il lavoro collettivo. Il  
panorama dei gruppi d’avanguardia nei primi anni Dieci, mentre Kandinsky si    
trova in Germania, è in continuo fermento, spesso caratterizzato da contrasti    
interni per noi difficili da dipanare.
Larionov e Goncharova sono i  
principali protagonisti del cubofuturismo, un tipo di pittura che associa  
la scomposizione cubista dell’oggetto al dinamismo e alla forza cromatica  
tipici del  futurismo. Nel 1912 i due propongono un’evoluzione di questo  
linguaggio con il manifesto del Raggismo: concentrandosi sulla 
rappresentazione "dei raggi che partono da una fonte di luce, sono riflessi 
da un oggetto e cadono nel nostro campo visivo", essi giungono ai primi 
esempi di pittura astratta.
I futuristi russi, che conoscono  
le analoghe esperienze degli italiani soprattutto attraverso gli echi della loro  
mostra di Parigi del 1912 e attraverso Marinetti, animano la vita culturale:  
firmano un manifesto dal titolo Schiaffo al gusto corrente, passeggiano  
per Mosca con facce dipinte, girano film, accompagnano con clamore il viaggio di  
Marinetti nel 1913-’14. Soprattutto, organizzano alcune esposizioni che si  
riveleranno il grande laboratorio dell’arte rivoluzionaria. Nel 1915 si tiene  
a San Pietroburgo Tramvai V, prima mostra futurista di quadri. Panoramica a tutto campo dei traguardi e delle prospettive dell’avanguardia,  
vi espongono tra gli altri Alexandr Rodchenko e Vladimir Tatlin, autore quest’ultimo  
di alcuni Controrilievi in struttura metallica. Alla fine dello stesso  
anno inaugura 0.10, ultima mostra futurista di quadri, in cui  
vengono presentati il manifesto e le prime opere suprematiste di Malevich.
E’     
proprio il ’15 infatti l’anno    
cruciale per la nascita dell’astrattismo geometrico - e anche questa volta la    
ricerca di un russo,  Malevich, si svolge parallela e contemporanea a quanto    
avviene in Europa ad opera di Mondrian -.
Per Malevich l’arte è Suprematismo:    
deve cioè staccarsi da qualsiasi naturalismo ed entrare in contatto con una    
realtà spirituale suprema.  Egli smantella progressivamente qualsiasi traccia di    
realismo nelle sue opere, arrivando a un lessico fatto di forme geometriche    
semplici, di campiture piatte disposte sulla tela secondo i 
 
rapporti armonici,    
evocativi di una sensibilità mistica. Questo azzeramento del linguaggio porta    
al celebre Quadrato nero su fondo bianco, esposto alla mostra 0.10   
come se fosse nell’"angolo bello" di una casa, tradizionalmente    
riservato alle icone. Il gruppo dei suprematisti si amplia e nei primi anni    
della Rivoluzione concorre alla realizzazione di opere pubbliche -si veda ad    
esempio il bozzetto per la decorazione di una sala riunioni, firmato da  Malevich    
ed El Lissitsky- e all’insegnamento –gli stessi due artisti insegnano nei    
Liberi Atelier di Stato a Mosca e a Vitebsk- ma la tensione utopica della loro    
pittura verrà ben presto a scontrarsi con le esigenze della propaganda.
Il Costruttivismo (detto  
anche Produttivismo) tenta invece di realizzare l’utopia, cercando il 
 
confronto diretto tra artisti e rivoluzione. "Abbasso l’arte, viva la    
tecnica": non servono quadri, l’arte deve uscire dai propri orizzonti per    
confrontarsi con i materiali e i procedimenti della tecnologia della produzione.    
Le opere devono utilizzare l’acciaio e il vetro; devono poter essere    
riproducibili grazie a forme astratte e geometriche; devono contribuire all’emancipazione    
delle masse. La produzione dei costruttivisti, grazie anche al sostegno  statale,    
è ricchissima e capillarmente diffusa negli stati sovietici. Da Tatlin a    
Lissitsky a Rodcenko, gli artisti si vedono come "ingegneri" della    
società futura: non solo progettano opere d’arte ma si impegnano nella    
comunicazione, nella fotografia, nella cartellonistica, nella scenografia. I    
dipinti di Rodchenko, come più tardi le sue fotografie, studiano le relazioni    
tra superficie e forma, colore e spazio. I famosi Proun di Lissitsky,    
più che quadri sono proprio dei progetti di "costruzione di una forma    
nuova". Celeberrimo è poi il Monumento alla III Internazionale di    
Tatlin, la 
 
progettata torre    
spiraliforme, sede di radio e giornali, che doveva    
essere il simbolo dell’utopia concretizzata. Tale è la fiducia nelle    
possibilità concrete di trasformare la realtà attraverso l’arte che i    
costruttivisti rifiutano di essere chiamati "astratti": nel 1920 gli    
scultori Antoine Pevsner e Naum Gabo firmano un "manifesto del    
realismo" per affermare la loro volontà di incidere sul mondo reale. Ma    
questo termine assumerà tutt’altro significato intorno agli anni 1922-’23,    
quando dopo la morte di Lenin il regime imporrà agli artisti la retorica del    
realismo socialista, chiudendo progressivamente ogni via di sbocco per l’avanguardia. 
Arte al femminile
Nella straordinaria fucina di    
idee e realizzazioni della Russia negli anni ’10, la presenza delle artiste è    
senz’altro tra le più cospicue dell’arte moderna. Anche se meno numerose    
dei loro colleghi, le pittrici sono presenti alle principali esposizioni e    
assumono un ruolo di primo piano  nell’organizzazione di mostre, nella critica,    
nella sperimentazione linguistica. Oltre alla Goncharova, ricordiamo tra le    
altre Olga  Rozanova, Lioubov Popova, Alexandra    
Ekster, Varvara Stephanova,    
Nadelja Udalzova.
Indipendenti e consapevoli dei    
propri risultati, scelgono i partner artistici con grande libertà; collaborano    
con pittori, poeti, scenografi dei gruppi d’avanguardia e viaggiano spesso in    
Europa aggiornandosi sulle tendenze e i dibattiti più attuali: Goncharova ad    
esempio espone con il Blaue Reiter a Monaco, Udalzova e Popova soggiornano a    
Parigi, Rozanova espone a Roma con i futuristi.  Quest’ultima, che Malevich    
chiamerà "l’unica vera suprematista", giunge a teorizzare la    
necessità di una pittura non oggettiva già nel 1915, indipendentemente da    
Malevich stesso; nelle sue opere, similmente a quelle di altre donne artiste, è    
sempre dominante il colore, che pervade forme geometriche incastrate e    
sovrapposte.
 
Negli anni della rivoluzione il    
contributo delle donne artiste è fondamentale, per il tentativo di unire la    
cultura popolare alle ricerche formali dell’arte d’avanguardia: oltre a    
ricoprire diversi incarichi di insegnamento, esse fondano numerosi atelier in    
cui il decorativismo degli oggetti di folclore viene filtrato e reinterpretato    
dal linguaggio cubista, futurista, astratto. Popova, Stephanova, Ekster    
progettano tessuti,  ricami, grafiche, scenografie. Non si tratta di un ripiego    
verso attività più convenzionalmente "femminili": celebrando l’aspetto    
utilitario della creatività artistica, esse 
 
"saldano l’arte del popolo a    
quella per il popolo". Ma non solo: danno vita a spazi di libera    
espressione che non è altrimenti facile "ritagliare", né all’interno    
delle istituzioni né dei gruppi di ricerca artistica, comunque dominati dagli    
uomini. La sperimentazione artistica continua parallela: ad esempio nel 1921    
Ekster, Popova, Stephanova partecipano alla mostra moscovita 5x5=25 con    
lavori di tipo costruttivista, lontani tanto dalla pittura da cavalletto quanto    
dalle arti applicate.
"Emigrati" a Monaco
Il pittore russo Alexej von Jawlensky compie un percorso  
verso l’astrazione parallelamente a Kandinsky, ma senza mai ritornare in  
patria.
Di nobile famiglia, ha frequentato l’Accademia di San    
Pietroburgo quando decide di trasferirsi a Monaco, abbandonando i gradi    
militari, nello stesso 1896 in cui vi giunge Kandinsky. Negli anni successivi    
frequenta spesso Parigi e rimane profondamente colpito da Matisse, cercando    
nelle proprie opere, soprattutto i ritratti, di trattare il colore e di    
semplificare le forme con una forza simile a quella dei fauves. La sua attività    
fiancheggia quella dell’amico Kandinsky: con lui partecipa ai soggiorni estivi    
di Murnau con Marianne von Werefkin e Gabriele Munter,  fonda nel 1909 la Nuova    
Associazione degli artisti monacensi, espone alla mostra berlinese del Blaue    
Reiter. Profondamente legato 
 
alle componenti folcloriche e mistiche della    
cultura russa, non si distacca del tutto dal simbolismo e negli anni della prima    
guerra mondiale, rifugiato in Svizzera, recupera la religiosità pur con un    
linguaggio di forme stilizzate. Si concentra sul tema del volto, in una ricerca    
di fissità iconica e semplicità geometrica. Il suo percorso con Kandinsky    
riprenderà nel 1924 a Weimar, quando essi saranno, con Klee e Feininger, i    
Quattro Azzurri.