Gilgamesh addolorato ricerca la vita (1-24) [Commento] |
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Gilgamesh,
per Enkidu,
il suo amico, piange amaramente, vagando per la steppa: "Non sarò forse, quando io morirò, come Enkidu? |
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la paura della morte mi sopraffece ed io ora
vago per la steppa; verso Utnapishtim, il figlio di Ubartutu, ho intrapreso il viaggio, mi muovo veloce colà. Di notte ho raggiunto passi montani. |
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ho alzato allora la mia testa rivolgendo la
mia preghiera a Sin; al più grande tra gli dei è rivolta la mia prece: [ ] da questo pericolo fammi uscire sano e salvo!" Di notte egli dormì ma fu svegliato di soprassalto da un sogno: [ ] gioivano della vita alla luce di Sin. |
10 |
Allora egli prese l'asta nella sua mano estrasse la spada dalla sua guaina, e si buttò su di essi come una freccia, li colpì e li disperse. Allora [ ] a mezzogiorno. |
15 |
Egli gettò via [ ] vi scolpì [ ] il nome del primo [ ] il nome del secondo [ ] lacuna di 13 righe |
20 |
Incontro con gli uomini-scorpione (37-129) |
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Il nome della montagna è Mashu. Appena egli giunse alla montagna Mashu: - coloro che giornalmente sorvegliano l'uscita e
l'entrata: |
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al di sotto l'Arallu
tocca il loro petto - uomini-scorpione stanno a guardia della sua porta, la paura che essi incutono è enorme, nel loro sguardo c'è la morte, il loro grande terrore riempie le montagne, essi stanno a guardia del Sole nel suo sorgere |
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e nel suo tramontare.
Allorché Gilgamesh
li vide, per la paura L'uomo-scorpione si rivolge a sua moglie: |
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"Colui che è venuto da noi: il suo corpo
è carne degli dei".
La moglie
dell'uomo-scorpione
gli risponde: L'uomo-scorpione
dice, |
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"Chi sei tu che hai percorso vie lontane, hai girovagato, finché non sei giunto alla mia presenza, attraversando con affanno persino correnti d'acqua travolgenti? Vorrei volentieri sapere il perché del tuo viaggio; colui verso il quale il tuo sguardo è rivolto, |
55 |
[vorrei] volentieri conoscere".
lacuna di 13 righe Gilgamesh [ ]: |
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"Da Utnapishtim,
mio antenato voglio recarmi; colui che entrò nella schiera degli dei, che trovò la vita, sulla vita e sulla morte voglio interrogare". L'uomo-scorpione
aprì la sua bocca e disse, |
75 |
"O Gilgamesh,
a nessun uomo ciò è mai riuscito! della montagna nessuno ha mai attraversato le sue viscere, il suo cuore è buio per dodici doppie ore, densa è l'oscurità, non vi è la luce! Verso il sorgere del Sole [ ] |
80 |
verso il tramonto [ ] verso il tramonto [ ] hanno fatto uscire [ ] lacuna di 38 righe (parla Gilgamesh) "I miei muscoli sono rigidi, |
85 |
Viaggio nelle viscere della terra (130-171) |
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L'uomo-scorpione
aprì la sua bocca, e rivolse a Gilgamesh, re di Uruk, la parola: "Va', Gilgamesh,
non temere! |
130 |
Sano e salvo possano i tuoi piedi portarti a
casa; alla grande porta di Uruk tu possa ritornare". Appena Gilgamesh
ebbe udito ciò, |
135 |
Egli ha percorso una doppia ora: densa è l'oscurità, non vi è alcuna luce. Non gli è concesso di vedere nulla dietro di sé. Egli ha percorso due doppie ore: |
140 |
Non gli è concesso di vedere nulla dietro di
sé.
Egli ha percorso tre doppie ore: Egli ha percorso quattro doppie ore: |
145 |
densa è l'oscurità, non vi è alcuna luce. Non gli è concesso di vedere nulla dietro di sé. Egli ha percorso cinque doppie ore: |
150 |
Egli ha percorso sei doppie ore: densa è l'oscurità, non vi è alcuna luce. Non gli è concesso di vedere nulla dietro di sé. Egli ha percorso sette doppie ore: |
155 |
Non gli è concesso di vedere nulla dietro di
sé.
Dopo aver percorso otto doppie ore, egli prosegue: Dopo aver percorso la nona doppia ora, |
160 |
gioisce la sua faccia ma densa è l'oscurità, non vi è alcuna luce. Non gli è concesso di vedere nulla dietro di sé. Dopo aver percorso la decima doppia ora, |
165 |
ma gli restano ancora da percorrere quattro
doppie ore.
Dopo aver percorso l'undicesima doppia ora, Dopo aver percorso la dodicesima doppia ora, ecco |
170 |
Gilgamesh nel giardino del dio Sole (172-197) |
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Egli è sbalordito di vedere ogni specie di
alberi di pietre preziose: la corniola porta i suoi frutti, |
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una vite è appesa ad essa, bella da ammirare. Il lapislazzuli porta foglie, anch'esso porta frutti piacevoli da ammirare. Lacuna di 7 righe |
175 |
[ ] cedri le sue fronde sono piene di pietre bianche, legno di mare [ ] calcedonio, come fossero arbusti e cespugli fiorisce la corniola, il carrubo egli prende in mano ed ecco è calcedonio, |
185 |
gemme, ematite [ ] dovizia e ricchezza egli può ammirare come [ ] turchese; del canneto [ ] in riva al mare ha [ ] pieno di abbondanza. |
190 |
Gilgamesh
gironzolando per questo boschetto, alza i suoi occhi verso di [ ] lei, Siduri, la taverniera che vive (lontano), sulla riva del mare. |
195 |
Commento ai vv. 1-24
Ma perché Gilgamesh cerca Utnapishtim? Davvero egli aspira all'immortalità? Le sue intenzioni all'inizio del viaggio non sembrano chiarissime. Il re di Uruk è sconvolto dalla morte dell'amico Enkidu e quest'evento ha generato in lui profondi interrogativi. La realtà ineluttabile della morte deve avere una spiegazione.
L'evoluzione del personaggio, la maturazione di questo semidio picaresco a uomo colpito negli affetti più cari, è di certo l'aspetto più innovativo dell'epopea ninivita rispetto alla tradizione più antica. Un colpo di genio del redattore assiro (o redattori?) è consistito nel conservare le motivazioni che gettano Gilgamesh e compagni nell'avventura ma conferendo loro diverso spessore drammaturgico.
Il massimo esempio in tal senso ci è dato da questa tavola. Per comprendere facciamo un passo indietro alla Foresta dei Cedri. Secondo il poema paleobabilonese (tavoletta di Yale) la Foresta era chiamata kurlùtila (Sap 2001, p. 70), ovvero "il paese (o montagna) del vivente". Gilgamesh spiega a Enkidu che vi è diretto alla ricerca di qualcosa che dia senso alla sua vita: la gloria. Ma "paese del vivente" indica anche un luogo dove trovare qualcosa che genera vita o che faccia vivere in eterno. E la fama, cos'è se non una possibile forma di immortalità? Quindi, anche se a livello embrionale, la tradizione aveva già assegnato a Gilgamesh, nei modi e nei luoghi, la ricerca della vita eterna.
Ebbene questa ricerca e il suo motivo scatenante vengono ripresi, approfonditi e sviluppati nell'epopea ninivita. Qui Gilgamesh non cerca più la vita eterna nella Foresta dei Cedri che quindi non ha più motivo di chiamarsi "paese del vivente". Nell'avventura contro Khubaba (tav. V) si dispiega "solo" la volontà di gloria. Il concetto dell'immortalità verrà introdotto molto più avanti, lasciando posto all'illusione di imbattibilità che nutre i due eroi fino al momento in cui gli Dei toglieranno di mezzo Enkidu quasi per capriccio.
Il dolore di Gilgamesh, introdotto da uno struggente lamento funebre di ineguagliata potenza lirica, è a questo punto un dolore reale, quasi palpabile. L'autenticità delle esequie per Enkidu genera in Gilgamesh autentici interrogativi "sulla vita e sulla morte". Le risposte, ritiene Gilgamesh, potrà darle solo colui che ha vinto la morte. Attenzione! Gilgamesh si pone interrogativi non obiettivi, ma ci stiamo ugualmente avvicinando al tema dell'immortalità tramandato dalla tradizione. Infatti, Gilgamesh va a cercare le sue risposte presso Utnapishtim che vive - udite, udite - nel "paese del vivente".
Il cerchio si chiude. Gilgamesh raggiunge il "paese del vivente", ma è un luogo geograficamente molto diverso rispetto a quello della tradizione paleobabilonese. Il paese del vivente è spostato a Sud-Est di Sumer, verosimilmente in qualche lembo di terra che si affaccia sul Golfo Persico, e non più sugli altopiani del Libano a Nord-Ovest. La trasposizione del teatro dell'azione non è solo formale. Infatti è stata ottenuta, o voluta, amplificando il respiro epico della vicenda.
Casi del genere sono frequenti nell'epica classica come esposto nel mio saggio sugli eroi omerici. Si pensi per esempio a quanto rapidamente muti la topologia delle avventure di Odisseo col cambiare del teatro delle colonizzazioni nel Mediterraneo e nel Mar Nero.
Gilgamesh patisce lo smarrimento, la fame, il freddo, la paura delle belve, il buio, il caldo soffocante, perché vuole interrogare Utnapishtim sulla vita e sulla morte. E quante volte Gilgamesh ripete lo stesso discorso a chi gli chiede il perché del suo cammino! Sappiamo che, nella letteratura mesopotamica, esisteva la prassi di ripetere parola per parola i brani importanti, a fini liturgici (se questo era il loro scopo) o semplicemente come prassi mnemonica. Ma, pur non caricando di troppi significati le ripetizioni, nella finzione drammaturgica si dispiega la crescita interiore del personaggio.
Questo viene avvertito con esemplare chiarezza nell'incontro con Utnapishtim dove, al primo motivo del viaggio, si sostituisce con fermezza la volontà di vita eterna. Con superbo tocco di classe dell'autore, tutto avviene quando Gilgamesh scoprirà la sua forte somiglianza con l'antenato
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